Riti funebri nell’antico Egitto

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Tra le più grandi civiltà della storia, l’antico Egitto ha sempre affascinato gli studiosi, anche, tra l’altro, per le imponenti costruzioni realizzate e la sua vasta cultura nei più svariati campi. Affascinanti e complessi risultano anche diversi suoi riti, tra cui quelli funebri. Sebbene la cremazione a Roma e in Grecia antiche era una pratica diffusa, essa non fu in uso invece nel regno egiziano, nel corso della sua millenaria esistenza. Infatti gli antichi egizi credevano nella vita oltre la morte e nel ricongiungimento del corpo e dell’anima nell’aldilà.

 

Credendo in una esistenza ultraterrena, il corpo di un defunto doveva essere conservato e preservato. Per permettere tutto questo, si utilizzava la tecnica della mummificazione. La tipologia di quest’ultima poteva differenziarsi in base alla classe sociale di appartenenza del defunto e i sacerdoti addetti a questa pratica dovevano essere esperti, in quanto eventuali errori o danni agli organi o al corpo, poteva provocare problemi al defunto nel suo viaggio nell’aldilà. La mummificazione poteva avvenire attraverso una modalità naturale o artificiale: la prima avveniva attraverso l’uso di tombe ventilate e sabbiose, che permettevano ad un corpo di asciugarsi; la seconda si praticava invece attraverso la procedura dell’imbalsamazione. La prima modalità di mummificazione era diffusa soprattutto agli inizi del regno egizio, in seguito tuttavia invece si diffuse la tecnica dell’imbalsamazione, intorno al 2.500 a.C sotto la 4a Dinastia.

 

Durante questa procedura, i sacerdoti addetti estraevano tutti gli organi interni del defunto, tranne il cuore (ritenuto un organo importante e che sarebbe stato “pesato” nel giudizio finale ultraterreno). Tali organi poi venivano conservati all’interno di vasi, posti nei pressi del corpo del defunto, all’interno della tomba. Durante la copertura di questo con delle bende di lino, si inserivano man mano degli amuleti con iscrizioni e formule, che favorissero  la sopravvivenza del deceduto nell’aldilà. Una volta terminata questa fase, il corpo veniva inserito nel sarcofago e si avviava una processione rituale con sacerdoti e parenti. Giunti presso la sua tomba, al defunto veniva praticata la tradizionale apertura della bocca, per permettergli di riprendere in seguito la vita. Poi, veniva posta sul suo viso una maschera funeraria con i suoi tratti, che aiutasse il suo spirito a riconoscere il proprio corpo. Il sarcofago in seguito veniva chiuso e, accanto a questo, venivano posti i vasi contenenti gli organi, delle offerte ed il corredo funebre (in pratica oggetti appartenuti al defunto e che lo avrebbero aiutato nella sua nuova vita ultraterrena).

 

Una volta terminata questa fase, con la sigillatura della tomba incominciava il viaggio della persona morta verso l’aldilà. Una volta qui, veniva giudicato dagli dei, attraverso la pesatura del cuore, effettuata dal Dio Anubis. Se l’organo pesava più della piuma della verità, il defunto veniva giudicato negativamente e mangiato dal mostro Ammut; in caso contrario o di equilibrio, allora egli aveva diritto alla vita eterna.